Etichetta: One Little Indian
Tracce: 9 – Durata: 58:24
Genere: Pop, Elettronica
Voto: 7/10

Un ritorno annunciato per Marzo 2015 e in seguito anticipato a causa del diffondersi sconsiderato di leak, corrisponde ad uno dei più attesi dell’anno in corso. Vulnicura, nuovo disco di Björk, arriva per rimettere in pace i fan dell’artista islandese che si erano trovati spiazzati dal precedente Biophilia, troppo concettuale per consentirne una fruizione tradizionale.
Già dalle note d’apertura (Stonemilket) l’impressione è quella di uno sguardo al passato, in particolare quello del periodo “orchestrale” di Homogenic, con aperture d’archi ben dosate ed eloquenti fraseggi tonali che ridimensionano, in parte, gli eccessi sperimentati tanto di Medulla quanto del controverso Volta. In questa circostanza sembrano essere privilegiate prima di tutto le canzoni, che spengono i pruriti avant-garde per direzionarsi con maggiore umiltà verso costruzioni più tipicamente melodiche.
Ma non si salti alle conclusioni: non è, come immaginerete, un disco di canzonette ma solo il fatto che in consolle sia stato convocato un personaggio come Arca (già con Kanye West e FKA Twigs) dovrebbe far capire che la l’intenzione era quella di abbandonare le velleità “contemporanee” per rimettere mano allo stile originario di Björk, mantenendo inalterate le caratteristiche della sua scrittura e puntando a privilegiare il linguaggio espressivo più apprezzato dai seguaci.
Le vicende personali, poi, hanno contribuito a rendere l’emotività della Guðmundsdóttir particolarmente intensa, sia pure con qualche eccesso di timing, per brani che (con una sola eccezione) sono un po’ troppo fuori misura. Ma Björk è Björk e non ha sicuramente bisogno di imporsi limiti di alcun genere.

Se, per certi versi, Vulnicura appare come una rassegnazione di chi ha insistito sulla strada dell’avanguardia per poi tornare su passi più rassicuranti (e remunerativi), bisogna riconoscere che probabilmente si muove in un ambito che si addice alla perfezione al suo personaggio e consente di sviluppare le derive sperimentali in una soluzione più cameristica e (in parte) fruibile.
Perfetto, in questo senso, il cameo dell’amico Antony, chiamato a duettare su Atom Dance, che può essere considerato il più illuminato tra quei musicisti che, nell’ultimo decennio, hanno saputo applicare gli stilemi della musica elettronica alle ambientazioni di quella da camera.
Ci fosse stato un brano (o due) più leggero, con qualche vago approccio al pop da classifica, o magari semplicemente una maggiore limatura a quei pezzi che spingono un po’ troppo sul tasto della “ricerca” (Family e in parte anche Black Lake) sarebbe potuto essere un disco da manuale. Così, invece, è solo un altro album che piacerà ai fan ma irriterà coloro che non hanno mai amato Bjork. Ma questo è lo scotto che devono pagare tutti gli artisti dalla forte personalità.

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