theblackangels_badgeEtichetta: Partisan
Tracce: 11 – Durata: 48:49
Genere: Rock, Psichedelia
Sito: theblackangels.com 
Voto: 8/10

Al quinto album, che giunge con la regolare cadenza biennale dopo un decennio di attività, The Black Angels prendono respiro e si rilassano concedendosi un po’ di giustificata auto-celebrazione. Death Song, in effetti, è un album che i texani affrontano con la consapevolezza di chi ha creato un immaginario preciso e solido al quale si sono appellati un bel po’ di appassionati in tutto il mondo.
Si tratta di un rock dalle cadenze psych che contempla elementi incompatibili nell’epoca di ispirazione (anni ’60) come The Velvet Underground (alla cui Black Angel’s Death Song si sipira il titolo di questo nuovo album), The Doors, Jefferson Airplane e MC5 che, se di primo acchito possono apparire come mondi lontanissimi e all’epoca impossibili da accostare senza urtare la sensibilità dei vicendevoli estimatori, oggi si materializzano come il viatico per il suono di una band che, al netto di riverenza e ossequiosità, ha generato una musica di enorme impatto sonoro (vederli dal vivo è un’esperienza*) senza mai suonare eccessivamente retromaniaca o derivativa. In effetti, pur rientrando in entrambe le categorie, non è possibile fantasticare di un disco dei Black Angels nei negozi del 1967 senza immaginarlo estremo e distante, per sonorità, accenti e struttura organica.
Death Song, a dispetto del titolo, è probabilmente il loro disco più “chiaro” nonostante la coscienza politica della band non riesca a estraniarli da tematiche sociali piuttosto cupe. Nel momento storico in cui l’America inizia a fare i conti con un presidente a cui è impossibile restare indifferenti, The Black Angels imboccano una strada che, nel quaderno delle liriche, attutisce le asperità, alleggerisce i toni e schiarisce l’opacità dei lavori precedenti pur tuttavia senza mollare la presa e restando ancorati a una certa direzione politica e impegnata.
Anche musicalmente, ci sono aperture acid-rock che svicolano dalle timbriche oscure di di Phosphene Dream accennando qui e là sonorità più tipicamente british (soliti Beatles di Revolver, Pink Floyd di Barrett ma anche Spacemen 3 e Primal Screamche, in qualche occasione, raggiungono gli inequivocabili lidi  della new wave degli anni ’80 (Grab as Much as You Can).
Per il resto è rimasto tutto nella norma, con una band ormai solida e concreta che riesce a stupire principalmente per la qualità della penna, sia quella che scrive le parole che l’altra che si occupa delle note. 
Lavoro produttivo di grande livello (Un grandissimo Phil Ek, coadiuvato da Cameron Nicklaus, Jacob Sciba e Joe Hogyn) che porta in primo piano una elettrizzante dose di energia da suonare a volume altissimo.

* Due date in programma per giugno:
7 giugno 2017 @ Latteria Molloy – Brescia
8 giugno 2017 @ Locomotiv Club – Bologna