Etichetta: Big Scary Monster
Tracce: 11 – Durata: 45:30
Genere: Pop Rock
Sito: Facebook
Voto: 6/10
La creatura di Joey Holman e Roddy Bottum è a suo modo piuttosto importante in un momento storico come il nostro perché, di fatto, è un progetto artistico che, attraverso la musica si espone per i diritti delle persone LGBTQ+.
Joey e Roddy sono una coppia, sono entrambi musicisti e hanno deciso di mettere la loro professione al servizio di concetti inclusivi visti dalla parte di chi vive i pregiudizi da un’angolatura personale.
Roddy è un tastierista famoso per aver caratterizzato il sound metal gotico dei Faith No More, Joey suonava la chitarra in una band punk-prog come i Cool Hand Luke. Entrambi hanno lavorato in progetti impiantati in un mondo iconograficamente rude e machista sempre in maniera totalmente aperta, accendendo una luce significativa sull’identità di genere. In questo primo album di coppia fanno invece il passo di mettersi a nudo (talvolta letteralmente) per realizzare qualcosa che tratti con serenità l’intimità e la naturalezza della (loro) vita di coppia.
Purtroppo il duo non riesce mai a trovare una chiave comunicativa efficace e, sebbene l’ironia sia spesso percepibile sotto traccia, il risultato “musicale” non è mai sufficientemente espansivo. Voglio dire: se fosse una collaborazione senza ambizioni divulgative, si sarebbe potuta affrontare come tale ma visto che c’è un messaggio piuttosto chiaro, non va sottovalutata l’importanza di inviarlo senza selezionare i destinatari.
Non che ci siano momenti particolarmente ostici, quello no, però manca una certa direzione pop che ne agevolerebbe la diffusione. Perché se da un lato capisco che Man on Man abbiano scelto di rivolgersi a un pubblico più preparato, al quale non servano derive camp o didascalie da gay-pride, dall’altro penso che non siano riusciti nemmeno in questo intento, concentrandosi su composizioni pregne di una artificiosità poco efficace, come se entrambi volessero restare nella loro comfort-zone stoner, svicolando da qualsiasi clichè gay-oriented.
Peculiare, anzichenò, ma visto che l’intento sembra proprio quello di abbattere i pregiudizi, forse era necessario un linguaggio musicale più trasversale perché canzoni come Daddy e 1983 (dai riferimenti erotici), Lover e Baby, You’re my Everything (dalla caratteristiche più romantiche), sono potenzialmente le armi giuste per evidenziare preconcetti ancora tristemente persistenti; pescano nelle situazioni intime e domestiche per affrontare in maniera diretta un discorso efficacemente politico ma, ahimè, sono musicalmente davvero poca cosa.
Naturalmente non c’è nulla di “fastidioso”, soprattutto per gli ascoltatori abituali di musica rock ma se i riferimenti possono evocare band come come Bronski Beat o Frankie Goes To Hollywood, ci si accorge che il punto è proprio questo: a differenza di quelle operazioni anni ’80, massicciamente e orgogliosamente mainstream, a mancare qui è la carica popolare che, convertita in partiture shoegaze scopiazzate da The Velvet Underground (Two at a Time) o Jesus And Mary Chain (1983, Stohner), rischiano di circoscrivere il messaggio a coloro che non hanno alcun bisogno di riceverlo.