Etichetta: Partisan / PIAS
Tracce: 9 – Durata: 41:13
Genere: Rock
Sito: geeseband.com
Voto: 9/10
Quando sento un gruppo di giovanissimi affrontare il verbo del rock con tanta riverenza e un così formidabile carico di inventiva, mi viene da pensare che si tratti di un genere tuttora molto aperto con ancora parecchie cose da dire nel marasma del mercato discografico.
Geese sono una band di post-adolescenti di Brooklyn che, complice la casualità che li ha fatti crescere in un fulcro di creatività come New York, hanno pubblicato un disco d’esordio a dir poco sorprendente.
Projector è pieno di mille riferimenti ma, a differenza di molti progetti analoghi, è in grado di convogliarli in una direzione precisa e unica, che nell’arco di nove pezzi riesce a mettere in chiaro la debordante personalità della band.
Dalle fonti più autorevoli del post-punk, fino al math-rock, con spruzzatine di new wave e flower-punk, il quintetto sfodera idee multicolori in grado di omaggiare The Strokes al pari dei Radiohead o gli Arctic Monkeys al pari di The Fall. Il cantante (Cameron Winter) ha una versatilità vocale davvero invidiabile ed è capace di passare da registri confidenziali a strepiti adolescenziali a tutte tonsille, talvolta anche nell’ambito della stessa canzone.
La cosa bella e fondamentale è che ogni rimando, ogni evidente richiamo storico passa velocemente in secondo piano quando i Geese attivano lo switch che cambia repentinamente l’atmosfera attorno a loro (e a noi) come accade in Disco, un brano che parte con cassa e basso sui quarti in stile Psycho Killer per virare velocemente in riff increspati tra King Crimson e XTC in un tourbillon di prog e hard rock che arriva in chiusura con una ruvida rilettura degli accordi iniziali, smangiucchiati da distorsioni noise sfacciatamente azzeccate. Un manifesto eccellente che contiene il germe di tutto l’album e mi sembra la scelta migliore quella di averlo scelto come primo singolo.
Sembra evidente che questi cinque ragazzi hanno una forza difficile da trovare nei loro coetanei che parte da una riverenza per la musica rock davvero senza pregiudizi e mai stata contaminata da forzature. La loro è una specie di missione o, ancor meglio, l’unica via possibile per restare su questo pianeta, come se non avessero nessun altro scopo che imbracciare le chitarre e esprimere la loro diversità, in modo potente e urgente, elevandosi dalla massa per distribuire sorprendenti spaccati di energia e poesia. Poesia, sì, perché le parole di queste canzoni scorrono con sequenze di alto livello che, se non avete troppa dimestichezza con l’inglese, vi consiglio di leggere (QUI).
Con Projectots è come se il rock’n’roll avesse trovato l’imbuto per travasare sessant’anni di idee in un mondo nuovo, perfetto per parlare ai giovanissimi con un linguaggio comprensibile anche ai loro genitori (e nonni). Un disco davvero riuscito che speriamo sia solo il primo di una lunga serie.