Etichetta: Capitol
Tracce: 13 – Durata: 51:28
Genere: Pop Rock
Sito: verdena.com
Voto: 9/10
Per il loro settimo(*) album i Verdena hanno iniziato a lavorare nel 2017, alla fine del tour di Endkadenz II, scrivendo una manciata di pezzi dal suono piuttosto acustico con l’idea di realizzare un disco più “leggero”. Poi i lavori si sono interrotti a causa della pandemia e quando sono ripresi Alberto ha portato in studio una manciata di canzoni dalla direzione diametralmente opposta, acide, spigolose, rock.
Volevo Magia è, di conseguenza, un lavoro dalla doppia anima che ben descrive il trambusto emotivo a cui questi ultimi anni ci hanno costretti. Nonostante il tempo dilatato, le occasioni extraconiugali dei fratelli Ferrari (Animatronic, I Hate my Village) e i cambiamenti inevitabili di loro, tanto come musicisti quanto come persone, hanno prodotto un album marchiato a fuoco da una band in stato di grazia e dalla personalità senza precedenti. Di loro ti basta sentire un accordo per riconoscerli e oggi, quando dall’esordio sono passati più di vent’anni, hanno sufficiente consapevolezza ed esperienza per permettersi un po’ di indifferenza per “quello che succede”, liberando la creatività in maniera pura, sincera e incomparabile.
Nel mercato discografico, negli anni che intercorrono tra l’uscita di Endkadenz II e quella di Volevo Magia è cambiato praticamente tutto ma soprattutto è cambiato il pubblico. Chi “compra” musica oggi è legittimato a non aver nemmeno sentito nominare i Verdena eppure all’annuncio del tour per supportare il disco le date sono andate sold-out in poche ore. Segnale che il pubblico non è solo rimasto fedele ma ha anche saputo trasmettere la passione a chi era troppo giovane ai tempi di Il suicidio dei Samurai e Requiem che, probabilmente, hanno saputo recuperare grazie a un’epoca in cui il rock col distorsore vince perfino un’istituzione come il Festival di Sanremo.
Tornando al disco, è innegabile che si tratti di un passaggio molto preciso nell’evoluzione dei Verdena perché si dirige in maniera marcata verso sonorità più distese, perfino quando il livello di saturazione viene alzato all’eccesso.
Alcune ballate (Certi Magazine, Chaise Longue…) hanno un sapore vintage, tra il Lucio Battisti sperimentale, il Serge Gainsbourg ricercatore e i Matia Bazar prog-pop dei primi tempi, mitigato dal formato Verdena che svolazza con indifferenza tra scala maggiore armonica e accordi minori. I pezzi più tirati, al contrario, non concedono nulla al glamour e si concentrano su un suono crudo, che identifichi la band per come è oggi, mantenendo inalterata l’identità rendendola contemporanea con innata determinazione.
I testi di Alberto, sempre caustici e criptici, nascondono gemme neologistiche e invenzioni linguistiche degne dei migliori autori (Sì, tu mi hai fissa al glande / Assaggia il vino, è ponce; Sola come sei / È Stevie Wonder…) spaziando tra la necessità di avere un apporto meramente “musicale” e la libertà di concedersi divagazioni poetiche e pungenti.
Una delle realtà più interessanti e uniche del nostro panorama musicale che esprime una libertà espressiva più unica che rara nella scena mainstream in cui si muovono.
(*) La band, come si evince dal VII in copertina lo considera il settimo album. È evidente che per loro Endkadenz, nonostante due uscite distinte, è considerato un unico album e la colonna sonora di America Latina ha le caratteristiche da fuoriserie.