Ebbene, anche quest’anno mi trovo davanti alla TV per vedere Sanremo, sebbene quest’anno, per me, la cosa sia piuttosto complicata. Non avete idea delle condizioni in cui mi trovo, organizzato alla bell’e meglio a causa di un trasloco che domani mattina vedrà partire tutta la mia casa da una città ad un’altra. Perché Sanremo è Sanremo, diceva Pippo ed io non posso certo rischiare di saltare questo appuntamento. Non tanto il festival, quanto piuttosto questo post che da più parti mi è stato chiesto di non mancare per niente al mondo… Quindi, eccomi qui, tutto incasinato e scomodo, su un letto più o meno di fortuna, col televisore rimasto nella vecchia casa SOLO per questo motivo ad aspettare di sentire le canzoni della gara. Sì, perché, come sapete, della baracconata a me interessa poco ma le canzoni invece mi incuriosiscono. Spero sempre, ogni anno, che Sanremo diventi (o torni ad essere, decidete voi) una bella vetrina di canzoni italiane, di quelle che, come quando ero piccolo, poi vado canticchiando mentre passeggio per strada. L’intro con Luca e Paolo mi permette di prendermela comoda: ne approfitto per mettere negli scatoloni un po’ delle ultime cose. Alle 21:10, dopo che lo shoe è iniziato già da una mezz’ora, la sigla ufficiale parte. musica si Richard Strauss, balletto di Daniel Ezralow e immagini che… non ho visto perché stavo scrivendo questo.

Gianni Morandi, al suo secondo Sanremo commette due errori: il primo è quello di autodefinirsi “artista”, il secondo è dire che vuole cominciare “subito”. Dopo 40 minuti dall’inizio della trasmissione è un po’ azzardato… E infatti c’è “subito” il primo break pubblicitario. La prima canzone è attesa dopo i dieci minuti di rito.

DOLCENERA: CI VEDIAMO A CASA (Dolcenera)
Introdotta da Hold The Line dei Toto, Dolcenera apre il festival come nell’edizione in cui vinse. Ciuffo verde di capelli e abito sobrio. Il brano è un’apologia della convivenza  su una melodia pomposa e orecchiabile che con qualche violino in più e qualche backing vocal in meno,potrebbe ricordare gli Arcade Fire.
Sufficiente.

SAMUELE BERSANI: UN PALLONE (Bersani)
Introdotto da In my Place dei Coldplay, anche l’ex giovane Bersani porta una canzone autografa. Gli occhiali alla Clark Kent gli danno un’aria matura e il brano si adatta alla maturità. Nel consueto stile “spugna” di Bersani, che prende da DeAndrè, da Dalla e da DeGregori, riesce a rendere il tutto piuttosto personale, sebbene ci sia davvero poco di originale: una marcetta un po’ vaudeville e un po’ honky-tonk.
Strasentita.

NOEMI: SONO SOLO PAROLE (Moro)
La sigla di Noemi è You Really Got Me dei Kinks, in una ingiustificata versione Hard (no, non quella dei Van Halen) in contrasto col brano presentato che è una ballad un po’ in crescendo, stile anni 70. La rossa Noemi sceglie di salutare il pubblico prima di cantare e poi, avvolta da un completo giacca-pantalone su una camicia fucsia, inizia il suo brano che forse è il peggiore della sua breve carriera. L’autore, Fabrizio Moro, dopo aver fallito svariate volte in prima persona, prova a far fallire anche Noemi che canta bene ma, ahimè, la canzone fa schifo.
Insufficiente.

FRANCESCO RENGA: LA TUA BELLEZZA (Renga, Mancino, Faini)
Il tanto strombazzato “ritorno al rock” di Renga è annunciato da More Than a Feeling dei Boston e si conferma come ciò che temevamo: per niente rock. E’ una delle sue solite pacchianate trite e ritrite, dense di strumentazione tra pop e sinfonico e nelle quali al cantante è consentito di mettere cinque vocali in un monosillabo. Non è stonato, per niente ma sono anni che aspettiamo da Renga una bella canzone…e ci toccherà aspettare ancora a lungo.
Fiacco.

CHIARA CIVELLO: AL POSTO DEL MONDO (Civello, Terera)
Pensavo ci sarebbe stata la pubblicità e sono andat a far pipì, perdendo l’annuncio che mi avrebbe aperto gli occhi su questa tal Civello che mi giunge nuova. Non so chi sia. A giudicare dalla proposta artistica direi che non è strano, nè grave. Un pezzo tango-chic, senza personalità, con spruzzate di bandoneon e andamento cantautorale di serie B, stile Max Manfredi per dirla chiaramente. Lei, poi canta da far pietà.
Dimenticabile.

IRENE FORNACIARI: GRANDE MISTERO (Van DeSfroos)
Zucchera a me sta simpatica. Non chiedetemi perché. A ben guardare ha tutte le caratteristiche per non godere della mia stima… eppure lei mi convince sempre, boh. Anche stavolta, con un pezzo bruttarello, scritto da Davide Van DeSfroos (che quindi sa scrivere anche in italiano!), io la salvo. Con quella sua voce a paperella con la quale non potrà mai emulare i suoi idoli (dichiarati) come Aretha e Tina, con quell’andamento un po’ goffo, eredità di papà, e quella casacca da Janis Joplin dopo morta lei, senza vergogna, canta una canzone che fa schifo, e si diverte. Ed io con lei.
“Vai Sanremo!”

Su Celentano non mi dilungherò. L’ha fatto lui a sufficienza anche per me: incomprensibile.

EMMA MARRONE: NON E’ L’INFERNO (Silvestre, Sala, Palmosi)
Con Foxey Lady ad introdurla, Emma torna al festivàl forte del super successo ottenuto l’anno scorso coi Modà. Il suo pezzo è di quelli che piacciono ai giovani, senza negarsi qualche accenno all’attualità ma cantando, pur sempre, di sentimenti e di passioni. Andamento in crescendo, con sviolinate esagerate, la canzone colpisce il bersaglio, pur senza particolari guizzi.
Senza Infamia e (soprattutto) senza lode

MARLENE KUNTZ: CANZONE PER UN FIGLIO (Godano, Tesio, Bergia)
Con Vittorio Cosma alla direzione dell’orchestra (e presumibilmente all’arrangiamento) gli intenti sono subito chiari: Marlene Kuntz giungono all’Ariston per dare una voce definitiva alla loro scelta pop. Il brano, infatti, è di quelli capaci di stare in mezzo ai gusti, accontentando lo zoccolo duro dei fans ma anche di ottenere visibilità in platee non tanto abituate alla band di Godano, Tesio e Bergia. Un bridge ricolmo di fiati beatlesiani servono da soluzione a un ritornello che si farà sentire parecchio. Il pezzo non sfigurerà in mezzo alla scaletta di classici dei Marlene e sicuramente il nuovo album, se ha questo sapore, saprà farsi strada nelle classifiche.
Dignitosi.

EUGENIO FINARDI: E TU LO CHIAMI DIO (Di Lorenzo)
le note di Born in The USA di Springsteen introducono l’ingresso di Finardi, alla sua terza presenza sanremese. Porta un brano che potrebbe anche vincere. Non è un complimento: si tratta, infatti, di una canzone scritta per fare effetto, per toccare argomenti che, come nel caso di Vecchioni l’anno passato, sanno far colpo sulla giuria. Musicalmente è poco efficace e questo potrebbe giocare a sfavore della eventuale vittoria. Ma Finardi è credibile, forse uno dei pochi rimasti tali nella scuola milanese degli anni 70. La musica non è più ribelle, lui forse lo è ancora; sicuramente per il festival.
Apprezzabile

GIGI D’ALESSIO + LOREDANA BERTE’: RESPIRARE (D’Alessio, D’Agostino)
Walk This Way degli Aerosmith accompagna l’ingresso della coppia dell’anno, i più attesi: Gigione e Lory. La canzone è un suppellettile. Loro due, assieme, bastano. Bastano talmente che il brano passa quasi inosservato. E poi già si sapeva che roba sarebbe stata. Il pezzo di D’alessio/Bertè è inevitabilmente così, un po’ rocketto un po’ Lavezzi, un po’ Radius. Loredana esagera come al suo solito e Gigi si mette alla prova con un pezzo (suo) scritto proprio per la Bertè.
Candidati.

NINA ZILLI: PER SEMPRE (Casalino, Zilli)
Nina Zilli non è scema e chiama Casalino e, dopo averlo defraudato di un suo pezzo (Non ti scordar mai di mech e lui a sua volta aveva rubacchiato altrove) per la sua precedente presenza a Sanremo (L’uomo che amava le donne), decide di fare una cosetta a quattro mani saccheggiando un po’ qui e un po’ la, però facendolo talmente bane da camuffare tutte le fonti. Il brano funziona, ha un certo appeal e forse quando riusciremo a sentirlo nella versione in studio, con un po’ di produzione che incoraggi i vocalizzi di Nina, forse riusciremo ad apprezzare una prestazione vocale di Zilli, decisamente sotto tono.
Gradevole.

PIERDAVIDE CARONE + LUCIO DALLA: NANì (Carone, Dalla)
Annunciati da Owner of The Lonely Heart degli Yes, l’amico di Maria, Carone e l’amico di Gianni, Dalla, portano una canzone nella quale il tocco del cantautore bolognese (quello post anni 90) si sente fino all’inverosimile. Dalla, con la scusa dell’impegno come direttore d’orchestra, si limita a fugaci apparizioni in armonizzazioni sparse tra ritornello e bridge. Durata apprezzabilmente breve, il brano è talmente gigione da non impressionare più di tanto. Carone non è di certo la prossima popstar italiana e Nanì, sicuramente, non lascerà grandi segni nel mondo della canzone italiana.
Ininfluente.

ARISA: LA NOTTE (Anastasi)
Prodotta e diretta (anche all’Ariston) da Mauro Pagani, Arisa canta una canzone matura, degna delle sue capacità fino ad oggi tenute nascoste dietro a motivetti di poco conto e pronta presa. C’è molto buon gusto, in generale, e lei canta splendidamente rendendo credibile l’inizio della seconda parte della sua storia canora. Forse si poteva smussare un po’ nell’arrangiamento (l’assolo di chitarra è troppo orrendo) ma nel complesso è il meglio che si è sentito fino ad ora. Bravo Anastasi, Brava Arisa.
Vincitrice!

MATIA BAZAR: SEI TU (Golzi, Cassano, Perversi)
Torna Silvia Mezzanotte e i Pazzia Bazar la promuovono come sempre: a Sanremo.
Una band che arranca e non indovina un pezzo da oltre dieci anni e alla quale è rimasta solo l’opportunità del festival per mantenere in vita una carriera che altrimenti sarebbe finita, giustamente, nel 1988.
C’è una strana storia di nepotismi e conoscenze dietro l’insistenza dei Matia Bazar al Festival della Canzone Italiana e nessuno mi convincerà mai che i meriti sono artistici.
Se non altro, Mezzanotte canta bene, a differenza di quella tremenda che l’ha sostituita per qualche anno. Ma adesso però basta. Sciogliersi e fare l’ultimo tour su una crociera Costa.
Flebile.

INFINE… Se volete sapere chi è stato eliminato, ve lo dirò domani. C’è stato un disguido nel meccanismo di voto e la gara è stata annullata. I cantanti si riesibiranno domani sera in favore della votazione.
Quindi sai che c’è? Vado a nanna…che domani c’ho il trasloco.