orangeheadEtichetta: Dgaff Recordings
Tracce: 10 – Durata: 48:48
Genere: Funk, Rap
Sito: blackgrape.tmstor.es
Voto: 7/10

Due sopravvissuti della clamorosa stagione lisergica della MaDchester anni ’90 come Shaun Ryder e Bez Berry, dopo aver militato nei gloriosi Happy Mondays, hanno portato avanti il progetto Black Grape che, con il supporto di alcuni giovani rapper, ha resistito fino al 1998. Poi ognuno per la propria strada sbarcando il lunario tra lezioni di fitness on line, Dancing on Ice, Celebrity Masterchef e reality vari.
Quasi un decennio dopo Ryder ha riesumato il marchio Black Grape assieme a un unico altro membro della formazione storica,  Paul “Kermit” Leveridge,  per produrre l’album Pop Voodoo, accolto talmente bene dalla critica da incoraggiarli a intraprendere un tour che, in barba a chi ironizzava sulle condizioni fisiche dei due “ragazzacci”, andò talmente bene da programmare una serie di fantasmagoriche celebrazioni per i venticinque anni che nel frattempo erano passati dall’iconico esordio It’s Great When You’re Straight…Yeah.
I tempi, però, erano quelli del Covid-19 e così il progetto finì per slittare varie volte fino a essere cancellato definitivamente.
Ora, Orange Head arriva come una inaspettata seconda uscita del nuovo corso e, bisogna dirlo, è un lavoro molto ben assestato: i pezzi sono tutti molto buoni, Shaun e Kermit appaiono credibilissimi nel tener alta la bandiera dell’efficace crossover che li ha resi inconfondibili. Se c’è un tratto distintivo in questo disco rispetto ai precedenti, è sicuramente una maggiore consapevolezza. I temi, sia delle liriche che delle melodie, pur essendo sempre pensati per le piste da ballo, sono meno scanzonati. Ryder ha 62 anni, Leveridge ne ha 60 e sebbene i dati anagrafici siano irrilevanti per certi aspetti, sicuramente per chi opera nell’ambito dell’intrattenimento è difficile rimanere attendibili se non se ne tiene conto.
Ma Black Grape ne tengono conto ed è subito evidente dal primo brano in scaletta, Dirt, che suona cupo e diretto con il tiro hip hop che richiama i solchi neri della DefJam con uno straordinario gusto duemilaventiquattro.
Pimp Wars rincara la dose con un gusto R&B entusiasmante, tra James Brown e Curtis Mayfield, Quincy cita blacksploitation e Public Enemy, stringendo legami tra Quincy Jones e Rick Rubin, Milk ritorna sui terreni mancuniani con un groove irresistibile, Self Harm interpola Henry Mancini e Button Eye si tuffa in atmosfere da Club Tropicana, Losers è una bella disanima autocritica a base di chitarre tex-mex e ritmi indolenti in stile Gorillaz… Insomma, c’è un po’ di tutto quello che ci si potrebbe aspettare da un disco dei Black Grape e funziona. Non solo, cresce a ogni ascolto: Shaun e Kermit, con la complicità in sala regia dell’immenso Martin “Youth” Glover, realizzano forse il disco più sorprendente di quest’anno dove il melting-pot dei Grape fatto di soul, rap, techno, psichedelia e funk è talmente disarmante che a noi non resta che… rimetterlo a suonare di nuovo e alzare il volume.