BB_TAoCArtista: Bronski Beat
Etichetta: London Records
Anno: 1984

Se negli anni 70 era facile associare la discomusic alla comunità LGBTQ+, non lo era altrettanto trovare band che apertamente dichiarassero la propria omosessualità né, tantomeno, che essa facesse parte delle tematiche dei loro pezzi.
Proprio a causa della planetaria popolarità della musica da discoteca, sebbene artisti come Village People, Sylvester e Boys Town Gang fossero esplicitamente gay, i discografici pensavano che i consumatori etero non volessero saperlo o, anche, che fingessero esplicitamente di non saperlo in una sorta di “segreto aperto”, come reminiscenza del rinnegamento freudiano piuttosto comune a quel tempo.
Se difatti ancora oggi c’è chi rifiuta di accettare l’omosessualità risolta ed evidente di Sam Smith o di Elton John, immaginatevi l’atmosfera negli anni in cui era l’industria discografica stessa a persistere nel custodire (inutilmente?) il segreto (vedi alla voce Freddie Mercury).
A rompere gli indugi arrivarono nei primi anni del decennio successivo i Bronski Beat che, in maniera chiara e serena, esordirono raccontando i turbamenti e le paure di un giovane ragazzo gay deciso a lasciare la provincia e la casa dei genitori per andare a cercare la propria identità e le risposte che… non potrà mai trovare a casa.
Il pezzo, accompagnato anche da un videoclip piuttosto eloquente, era Smalltown Boy e riprendeva in maniera quasi spudorata, il tipico groove della discomusic con quel giochetto cromatico sulla linea di basso rubata a You Make Me Feel di Sylvester.
Fu un successo stratosferico (600mila copie nella prima settimana di vendite) che risuonava su tutte le piste da ballo del pianeta dando, per la prima volta in maniera così chiara, una connotazione politica alle tematiche LGBTQ+ attraverso una canzone di musica pop di grande consumo.
Gli eterosessuali che solo pochi anni prima non vedevano la cultura gay (o che al massimo intuivano alcuni stili puramente estetici da essa scaturiti) si trovarono a dover fare i conti con uno Smalltown Boy in fin dei conti non così diverso da qualsiasi adolescente.
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Un paio di mesi dopo i Bronski Beat replicarono il successo ed amplificarono il messaggio con Why?, il secondo singolo che affrontava il tema della violenza psicologica e fisica ai danni delle persone omosessuali, costrette a vivere l’amore in modo talmente clandestino da eludere la possibilità di godere della sua stessa essenza, fossero anche semplici atteggiamenti di tenerezza, senza che prima o poi qualcuno si sentisse in diritto di apostrofare od offendere. In poche parole Why? è la prima canzone pop di grande diffusione a contenere un esplicito messaggio anti omofobia. Un altro colpaccio da primo posto in classifica che spianò la strada al primo album della band dal titolo (sempre più schietto) di The Age of Consent.
L’età del Consenso (The Age of Consent, appunto), in Diritto è l’età che deve aver raggiunto una persona per essere considerata “capace di dare un consenso informato a comportamenti regolati dalla legge, con particolare attenzione ai rapporti sessuali” e che, nella Gran Bretagna di quegli anni, era discriminatamente più elevata per gli atti omosessuali di quanto non lo fosse per quelli eterosessuali.
Il disco riportava, nella busta interna, una tabella con le età oltre le quali – secondo l’ordinamento giuridico dei diversi paesi – l’atto sessuale tra persone dello stesso sesso cessa di comportare il reato che, all’epoca (1984), nel Regno Unito era di 21 anni.
L’album venne registrato nei Garden Studios di John Foxx (ex Ultravox) e fu prodotto da Mike Thorne (già coi Soft Cell) per la London Records.
Nella dead wax dell’LP cioè lo spazio tra la fine del solco e l’etichetta al centro del disco, la band fece incidere il numero di telefono del London Gay Switchboard (telefono amico di supporto per persone LGBTQ+). Inizialmente l’operazione avrebbe dovuto differenziarsi per ogni paese del Mondo, segnalando numeri telefonici analoghi per ogni località ma i costi esagerati dell’operazione fecero desistere la casa discografica.
Bronski Beat
Subito dopo la pubblicazione venne rilasciato anche il terzo singolo, una rilettura in chiave elettronica del classico It Ain’t Necessarly So di George & Ira Gershwin, che venne registrato agli Skyline Studios di New York per ottenere una sonorità più internazionale, coadiuvata anche dall’aggiunta di un elegante assolo di clarinetto di Arno Hecht degli Uptown Horns e dal celebre coro londinese The Pink Singers.
Jimmy Sommerville e i compianti Larry Steinbachek e Steve Bronski erano diventati ufficialmente delle star della musica pop e, grazie a loro, la cultura LGBTQ+ cominciò a farsi largo in maniera più aperta ed esplicita, abbattendo pregiudizi e ingiustizie nell’epoca di fondamentale divulgazione di MTV.
La loro stella brillò tantissimo, ma durò poco. Già l’anno successivo Sommerville se ne andò per creare The Communards assieme al polistrumentista Richard Coles, non prima di aver pubblicato l’ultimo singolo tratto da The Age of Consent,
la cover di I Feel Love di Donna Summer (presente anche nell’album) che i Bronski Beat reincisero assieme alla guest star Marc Almond dei Soft Cell realizzandone una versione lunghissima abbinata, in medley, a Love To Love You Baby, sempre di Donna Summer.
I Bronski Beat proseguirono un po’ senza Sommerville (sostituito da John Foster), con anche un modesto successo con il singolo Hit That perfect Beat, per poi chiudere, giustamente, una carriera che in questo modo assume le caratteristiche di una autentica missione anti omofobia.
The Age of Consent, per la sua capacità di aggiungere un messaggio politico a un genere così smaccatamente popolare è, e rimarrà sempre, un caposaldo della cultura LGBTQ+ ma non va dimenticato anche il suo valore musicale. Steve Bronski e Larry Steinbachek hanno saputo creare, sia pure prendendo a man bassa dalla disco e dall’electro beat dei primi anni 80, un suono connotatissimo e personale, difficile ancora oggi da confondere con altri.
La produzione di Mike Thorne conferì all’operazione un tocco modernissimo che non mancò di incuriosire ed interessare anche molti appassionati dell’ambiente rock e new wave che, in qualche modo, hanno dato la possibilità all’album di essere sdoganato presso un pubblico non propriamente da discoteca.
Riascoltato oggi risente un po’ degli anni, ma canzoni come quelle dei primi tre singoli, fanno talmente parte del nostro patrimonio culturale da trascendere qualsiasi moda e contesto.