beyoncecarterEtichetta: Parkwood Entertainment
Tracce: 27 – Durata: 77:58
Genere: Pop, Country, R&B
Sito: beyonce.com
Voto: 7/10

Che un artista nato in Texas senta prima o poi l’esigenza di misurarsi con la musica dei cowboy, è piuttosto inevitabile anche quando la sua strada artistica sta su un percorso decisamente differente. Dunque, c’è poco da stupirsi se la regina dell’R&B Beyoncé (nata a Houston, US-TX) abbia rivolto lo sguardo al mondo C&W, non è la prima (penso ad esempio a Joe Tex di Navasota) e non sarà nemmeno l’ultima. Eppure c’è stata una levata di scudi contro Cowboy Carter come se un’artista inclusiva, nera e donna (già!) non avesse “titoli” per affrontare un genere per definizione conservatore, bianco e macho.
Beh, io devo dire che a me basta questo presupposto “politico” per promuovere a pieni voti il secondo atto della trilogia americana di Miss B; poi, certo, possiamo anche affrontarne i contenuti e vedere che, ma sì, si poteva lavorare un po’ di lima e togliere qualcosa anche perché… aggiungere era davvero impossibile. Questo album tracima di progettazione, produzione e -ovviamente- esecuzione e, al netto anche di qualche ineludibile (e, diciamolo, simpatica) tamarrata, continua a mantenere le aspettative di un pubblico mainstream che non sa e non vuole accontentarsi.
Sicuramente un certo sovraddosaggio c’è e 78 minuti di musica oggi sembrano un po’ in controtendenza ma… forse a ben vedere anche questo è intenzionale per riportare l’attenzione su un mondo vagamente scomparso nel quale il progetto, i concept, gli album erano rilevanti per valorizzare un’opera in quanto tale. E poi, insomma, è vero che è un po’ lunghetto ma non siamo obbligati a sentirlo sempre per intero. La mia idea è che un momento così incontinente e smodato, in cui fatichiamo a trovare il tempo da dedicare a un’espressione pop-culturale come la canzone di intrattenimento, ha bisogno di una scossa e… che potesse partire da un’operazione mastodontica come questa, forse era nel progetto.
Ovviamente, non c’è solo country. Forse sarebbe stato più sensato definirlo folk perché Cowboy Carter si esprime con tutti i linguaggi delle radici musicali americane: blues, soul, gospel e bluegrass inclusi, cercando anche di riprendersi linguaggi spesso saccheggiati dal pop del Vecchio Continente. E non mi riferisco -solo- alla cover dei Beatles (Blackbird) ma anche a quel mucchietto di ballad, che sembrano simpatizzare con i successi di Ed Sheeran, Lewis Capaldi o Harry Styles quando semmai è vero il contrario.
Cover di prestigio (Oltre a Blackbird, anche l’eterna Jolene di Dolly Parton col testo aggiustato in direzione 2024), interpolazioni delle grandi occasioni (Nancy Sinatra e Beach Boys su YA YAFleetwood Mac su II Most Wanted e Underworld su II Hands II Heaven) e ospitate tra il classico e l’inevitabile (Miley Cyrus, Dolly Parton, Willie Nelson, Linda Martell, Post Malone fino alla figlia Rumi Carter) fanno di Cowboy Carter un buon disco che riesce a combinare la debordante personalità di Beyoncé con una certa misura espressiva che forse nessuno di noi si aspettava.