beak-4Etichetta: Invada Records
Tracce: 9 – Durata: 51:32
Genere: Indie Rock, Electretrò
Sito: Bandcamp, Facebook, Instagram 
Voto: 8/10

Quello che all’inizio sembrava solo un passatempo per colmare le lunghe pause di lavorazione dei Portishead, per Geoff Barrow è diventato una solida realtà che giunge, inaspettatamente, al quarto album in discografia.
Beak>, col nuovo disco (che prosegue la numerazione dei primi tre uscendo come >>>>) realizzano il capitolo più concretamente musicale della loro storia, sia pure realizzato con il consueto metodo della libera performance, registrata in buona parte in diretta.
>>>> arriva all’improvviso, pressoché inatteso e, pur proseguendo nella linea di retroavanguardia in aria di CAN, Neu!, Ash Ra Tempel e tutto il cucuzzaro cosmico anni ’70, mette in scena una modernità creativa di tutto rispetto, con momenti rilevanti di emozionante armonia futuristica.
Non so, vista anche l’uscita dell’album di Beth Gibbons che ha, giocoforza, allungato l’attesa per un nuovo agognato album dei Portishead, Barrow, deve essersi convinto a rompere gli indugi e richiamare i colleghi Billy Fuller e Will Young per riaccendere la miccia dei Beak>. Non solo: l’impressione è quella che volesse dare un’impronta decisamente più concreta a una band smaniosa di dismettere definitivamente i panni del side-project.
Insomma, se fino ad ora hanno realizzato degli album molto interessanti e piacevoli, stavolta ci si sente dentro anche tutto l’impegno per costruire un repertorio degno di questo nome. Canzoni come Hungry Are We, mescolano groove psichedelici con armonie vocali west-coast, chitarre e sintetizzatori di gusto vagamente progressive; The Seal e Ah Yeh sono le tracce che fanno maggiormente i conti con i CAN, la cui influenza è inequivocabilmente espressa come reverentissimo tributo; Secrets e Windmill Hill spaziano tre le giostre della Yellow Magic Orchestra e atterrano tra 23 Skidoo, Fujiya & Miyagi e Goblin; Cellophane e Strawberry Line invocano il fantasma di Syd Barrett e ci danno l’illusione di immaginare cosa sarebbero potuti essere i Pink Floyd se la sua creatività avesse resistito. 
I testi in completano l’atmosfera introspettiva di un lavoro ben assestato, ondeggiando tra temi di identità, memoria e passaggio del tempo, combinandosi armonicamente con la natura meditativa e onirica delle partiture.
Più che ai fan dei Portishead, >>>> è consigliato a chi ha sempre avuto consapevolezza della modernità senza tempo di certo rock sperimentale, tra kraut, Crammed, Tokyo, Warp!, Bristol e Tzadik, per tenersi lontani da mode e modi, liberi di riconoscersi in una corrente artistica che ha radici tanto nel 1969 quanto nel 2048.