Etichetta: Bella Union
Tracce: 10 – Durata: 32:31
Voto:
7/10

Sono rimasto deluso. Ma forse non è proprio delusione, è una specie di stupore. Ma no, neanche quello. Il fatto è che dal disco solista di Philip Selway si rimane inutilmente spiazzati: ci si aspetta chissacché sebbene si sappia con precisione ciò che ci si troverà.
Avrei voluto, credo, che il batterista dei Radiohead si prendesse una piccola rivincita sul gruppo (che ultimamente gli fa toccare le bacchette per il minimo sindacale) creando un album tribale, di ritmiche imponenti e batteria predominante, e invece no: nel suo esordio da solista, Selway alla batteria preferisce il canto e la chitarra acustica per una decina di semplici ballate, non troppo distanti da quelle che compone il suo capo, lo zio Thom.
Oppure, boh… Mi sarebbe piaciuto qualcosa di diametralmente opposto al lavoro della band, magari delle orchestrazioni imponenti, anche se mi rendo conto che si sarebbe dovuto misurare col collega Jonny Greenwood che lo aveva preceduto per la colonna sonora de Il Petroliere
Aspettative che, sebbene non volessi ammetterlo, sapevo perfettamente che sarebbero state disattese e che Familial avrebbe avuto la natura che ha.
Ed il titolo, tutto sommato, parla subito chiaro lasciando che tutto avvenga tra le consuetudini di ogni giorno, scegliendo il metodo a cui è maggiormente incline, sia pure per luce riflessa.
Sicché Philip gioca a fare il band leader e lascia la batteria ad un illustre collega come Glenn Kotche dei Wilco (che con l’occasione porta anche Pat Sansone per qualche particina chitarristica), affida le parti di basso al grande Sebastian Steinberg dei Soul Coughing e a Lisa Germano, con la quale collabora da qualche tempo, chiede alcuni preziosi interventi vocali.
Il risultato è una specie di radiohead unplugged che rimarca qui è là qualche peccatuccio (invero piuttosto veniale) di troppa seriosità.
Il materiale è piuttosto esile e il simpatico faccione di Philip talvolta non è sufficiente a sopperire alla dose di modestia che qui e là si dimentica di aggiungere.
Ma non voglio infierire, Familial, tutto sommato è molto più piacevole di quanto le mie parole lascino intendere.
Ci sono riferimenti alla musica acustica più celebrata, da CSN&Y (The Ties That Bind Us) a Paul Simon (Broken Promises) con inevitabili tracce che piacerebbero anche al signor Yorke in persona (Don’t Look Down, A Simple Life). E tutto senza essere invadenti o prolissi (l’album dura poco più di mezz’ora) dote inestimabile per un album.
La bellissima copertina (che non è una foto ma un dipinto), da sola basta ad incuriosire riguardo un album che sarebbe meglio affrontare per quello che è, ovverosia il disco di un esordiente e non quello del batterista-dei-radiohead. In questo modo diventa più facile lasciare fuori i pregiudizi e sedare le aspettative: l’unica maniera per captare l’onestà e l’educazione che lo hanno generato.