Etichetta: Asthmatic Kitty
Tracce: 11 – Durata: 43:12
Genere: Pop, Folk, Cantautori
Voto: 8/10

Ritorna Sufjan Stevens dopo una considerevole pausa discografica lunga cinque anni e lo fa con un disco, Carrie & Lowell, per certi versi sorprendente. Si tratta di un album di Folk minimale, dove i toni sono sempre molto pacati e dove ad apparire per prima è una certa intimità espressiva. Dopo i fasti orchestrali (The BQE) e i pasticci altisonanti (The Age of Adz) dei precedenti lavori, sembra aver placato la sua fame di sperimentazione tornando a un genere più caldamente cantautorale, fatto di ballate acustiche semplici e toccanti. Il titolo dell’album fa riferimento alla madre (Carrie) e al patrigno (Lowell) di Sufjan. Carrie era bipolare e schizofrenica, con problemi di tossicodipendenza. Morì di cancro allo stomaco nel 2012, ma aveva abbandonato Sufjan varie volte, la prima quando aveva solamente un anno e poi quando ne aveva tre, come si evince dal testo di Should Have Known Better (“when I was three, three maybe four, she left us at that video store“). Il suo patrigno, Lowell Brams, era stato sposato con Carrie per cinque anni durante l’infanzia del cantautore ma è rimasto sempre molto legato a lui, come testimonia il fatto che è proprio Brams a gestire l’etichetta discografica di Stevens, Asthmatic Kitty, oltre che apparire nelle svariate dimostrazioni di affetto espresse per lui nel disco, in particolare quando Stevens chiama “periodo di speranza” i cinque anni in cui lo ha visto a fianco della madre.
Insomma, avete capito che si tratta di un album piuttosto riflessivo, nel quale l’autore mette in piazza particolari estremamente intimi e dolorosi della sua vita, gli stessi che lo hanno reso un artista così sensibile. È un album in cui i suoi seguaci potranno rendersi conto della sua estrema onestà e che daranno la possibilità di tirare le fila con certe canzoni del passato che, adesso che la sua infanzia è stata portata così francamente a galla, sarà più facile interpretare (provate a riascoltare Romulus su Greetings from Michigan e capirete).
Certamente non si tratta di un album leggiadro: è più facile commuoversi che sorridere, ma ci fa ritrovare una vena creativa ancora stupendamente vitale. Le canzoni sono pagine di un libro molto toccante dove gli arrangiamenti sono ridotti all’osso (ma curatissimi) e studiati per adeguarsi al sentimento di malinconia che un quaderno come questo finisce con lo scuotere. È un ritratto che l’autore fa del se stesso bambino, esprimendo i disagi, le sofferenze e le controversie generate dall’assenza, dalla perdita e dalla morte. Rimane comunque un delizioso gesto di amore che punta ad avvicinarsi alla donna che lo ha messo al mondo, come se riuscisse a immedesimarsi nelle sue sofferenze e, in questo modo, potesse finalmente ad esprimerle la sua riconoscenza.

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